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SE IL BIMBO È UN FORSENNATO FORSE HA LA SINDROME “ADHD”

27 Nov

Difficile da diagnosticare,

si tratta di una vera e propria malattia,

che porta con sé sconforto e isolamento

«Quel bambino è una vera peste; alla festa è meglio non invitarlo»; «Ma cosa gli avranno insegnato a casa i genitori? Non sa nemmeno restare seduto a tavola cinque minuti»; «Meglio farlo stare al banco da solo, altrimenti dà fastidio ai compagni»…. È con frasi come queste che spesso vengono additati quei bambini troppo vivaci, quelli che i genitori non sono capaci di “tenere buoni”, che gli insegnanti non vorrebbero mai avere in classe e con i quali i coetanei non riescono ad andare d’accordo.

Bambini impulsivi, disattenti, iperattivi, svogliati, che non sanno rimanere fermi un istante, che dimenticano le cose; bambini sempre agitati e, a volte, persino violenti…. Ma, per favore, non chiamateli maleducati! I loro comportamenti, per quanto biasimabili e inopportuni possano risultare, sono infatti assolutamente indipendenti dalla loro volontà: i piccoli soffrono di un serio disturbo da deficit di attenzione, chiamato anche disturbo da iperattività e meglio conosciuto con l’acronimo inglese ADHD. Si tratta di un vera e propria patologia neuropsichiatrica abbastanza frequente nell’età evolutiva: colpisce circa il due per cento dei bambini nella fascia prescolare ed è generata sia da fattori genetici che da cause ambientali.

Generalmente chi soffre di Adhd ha, infatti, una predisposizione di base, che si evolve in malattia vera e propria nel momento in cui il soggetto viene esposto a determinati fattori “scatenanti”, tra i quali, ad esempio, la circostanza in cui un bimbo nasca prematuro o quella in cui la madre, durante la gravidanza, faccia consumo di fumo e alcol.

Pur conoscendone i sintomi, la difficoltà più grande di questa malattia sta proprio nel diagnosticarla: mancanza di concentrazione, impulsività ed eccitazione infatti non sempre sono sinonimo di Adhd, ma possono dipendere da numerosi altri fattori e spesso si tratta soltanto di comportamenti riflessi, dovuti a svogliatezza o eccessiva vivacità. L’iperattività invece, che si manifesta solo quando questi fenomeni diventano cronici, è una patologia molto seria, che può compromettere, oltre al rendimento scolastico del piccolo, anche la qualità di tutta la sua vita. Le prime conseguenze sociali di questo disturbo risiedono proprio nella frustrazione che proverà il bambino nel rendersi conto di non riuscire in ciò che tutti i suoi coetanei sono in grado di fare: è il disagio di un ragazzino che, ancor prima di iniziare a svolgere un compito, sa “di non essere capace”. Da un recente studio svedese è inoltre emerso che un bambino iperattivo ha una possibilità decuplicata di essere vittime di episodi di bullismo, ma anche quattro volte maggiore di diventare lui stesso un “bullo”. A lungo termine, di fronte a questi ostacoli insormontabili, il piccolo potrebbe cadere nello sconforto, perdendo la stima e la fiducia in se stesso. Inoltre più si aspetta a intervenire, maggiore è il rischio che la situazione peggiori.

Tuttavia, prima di gridare al lupo, è necessario che venga fatta una diagnosi estremamente attenta da un esperto: curare un bambino sano come se soffrisse di Adhd può infatti produrre danni gravissimi al suo sviluppo. Per questo è assolutamente messa al bando la diagnosi “fatta in casa” ed è imprescindibile cercare più di una conferma da medici qualificati, che, oltre all’osservazione diretta dei comportamenti del bimbo, lo  sottoporranno a prove e valutazioni neurologiche specifiche.

Una volta accertata la natura del disturbo, si procede con la terapia, che viene personalizzata sul singolo caso, ma che deve comunque essere “multimodale”, osssia basata su un approccio combinato di interventi medici e psicoeducativi, portati avanti sia sul bambino che sui genitori. Questi ultimi infatti coprono un ruolo fondamentale e, per poter aiutare il figio, vanno “educati” ad affrontare la malattia, a conoscerla e imparare le regole da seguire per sconfiggerla. Creare un ambiente semplice e ordinato, seguire ritmi di vita regolari, rivolgersi al bambino con frasi brevi e chiare, essere con lui risoluti e decisi, ricompensarlo quando si comporta bene o, viceversa, punirlo: sono tutti atteggiamenti che possono fare molto nelle situazioni meno compromesse. Inoltre, perché le cure abbiano successo, è importante coinvolgere gli insegnanti, affinché siano in grado di comprendere le difficoltà dei ragazzi e divenire, insieme a genitori e specialisti, un’unica squadra.

Quando però il disturbo è più serio, i trattamenti educativi, comportamentali e psicologici da soli non bastano più. In un terzo dei casi, infatti, (sebbene molti siano contrari) bisogna associare una terapia farmacologica a base di psicostimolanti, finalizzata a correggere le disfunzioni cerebrali che si celano dietro la malattia. In Italia queste cure, che devono sempre essere prescritte da un neuropsichiatra, possono essere eseguite soltanto nei centri regionali di riferimento e, sebbene nella maggior parte dei soggetti riducano drasticamente l’iperattività, migliorando la capacità di concentrazione e di coordinamento corporeo, non sono in grado di dare ai piccoli pazienti gli strumenti necessari per riacquisire stabilmente le proprie abilità sociali. Per questo il trattamento combinato risulta senz’altro il percorso migliore da seguire.

L’Adhd è una malattia “invisibile”, impariamo a vederla e, soprattutto, a riconoscerla.

Giulia Sonnino Mimun